(Brunetto
Salvarani) Banco di prova per papa Francesco, e per la sua idea di
decentralizzazione (come l’ha chiamata nell’esortazione Evangelii
gaudium), il Sinodo
rappresenta anche l’occasione per fare il punto su un argomento –
quello della famiglia –, che si presenta oggi delicato quanto pochi
altri, ma anche impossibile da trascurare per (tutte) le religioni,
nel quadro di un pianeta sempre più globalizzato.
Tanto più in un
momento storico in cui, come teorizza Zygmunt Bauman, si assiste
all’evidente tramonto dei legami affettivi duraturi e stabili, e
anche l’istituto familiare si trova esposto alle contraddizioni di
una società ormai liquida.
A
suo parere, fondamentalmente, e appare difficile dargli torto,
abbiamo perso la capacità di guardare lontano, e si pensa a vivere
solo nell’immediato. Una miopia che porta a pensare esclusivamente
all’oggi, al massimo a domani, ma non oltre; tutto viene
sacrificato all’utilità del momento. Nucleo problematico, questo,
dell’attuale crisi che ha colpito duramente l’intera comunità
globale, non soltanto economica ma pure e forse soprattutto
culturale, morale e affettiva, traducibile con una sola frase: paura
dell’Altro e del riconoscere l’estraneità. È come se da un
lato si abbia il desiderio impellente di una relazione stabile per
paura della solitudine, ma dall’altro si sia preda di un
inspiegabile timore di rimanere imbrigliati per sempre in quella
relazione, perdendo la propria identità e precludendosi chissà
quali altre infinite possibilità di qualcosa di migliore e di più
soddisfacente.
La
famiglia, dunque. Anche perché, se si è esaurito l’ecumenismo
delle coccole, come ammetteva con franchezza lo stesso cardinal
Kasper a Sibiu (2007), ecco la necessità di tirar fuori, oggi più
ancora di ieri, i problemi aperti, che pesano come macigni nel
processo di unificazione delle Chiese cristiane e nella prospettiva
di un autentico dialogo interculturale e interreligioso. Le spine che
rischiano di farci sanguinare ancora per parecchio, cresciute come di
regola in mezzo alle non poche rose di cui possono fregiarsi il
movimento ecumenico e i cammini dialogici.
In
realtà sono tante le questioni che, nell’aprirsi di un nuovo
millennio dell’era cristiana, stanno agitando le segreterie delle
diverse gerarchie non meno del popolo della base più cosciente.
Sarebbe sbagliato e controproducente fare finta di niente: i
conflitti, spiega l’attuale educazione alla pace, vanno
attraversati, gestiti, tirati fuori, se si intende puntare al loro
superamento. Mentre il silenzio e le buone maniere che celano i
disagi nuocciono tanto alla chiarezza delle relazioni quanto ai
legittimi diritti della verità.
Prima della famiglia e del matrimonio vengono le persone. Questo focalizzarsi sulla famiglia è una cura di secondo piano, prima dovrebbero curarsi le relazioni umane. Bisognerebbe preoccuparsi di scacciare invidia, sopraffazioni, gelosie, competitività eccessiva, possessività, avarizia..... inoltre non tutti hanno vocazione matrimoniale, avere come paradigma principale per la vita, il matrimonio la famiglia i figli e poi la morte, è ridicolo ai tempi nostri. La donna non è più, fortunatamente, sottomessa al marito e può esprimere tutto il suo valore al di là della semplice maternità, la vita media supera gli 80 anni e il ciclo, bambino adolescente maturità paternità e morte, non risponde più alla natura dell'uomo di oggi andava bene quando si moriva a 60 anni. La realtà è che oggi le donne si sposano dopo i 30 anni per essere nonne dopo i 60, ma forse è proprio il paradigma famiglia che va rivisto. Oggi l'uomo deve esprimere valore oltre la famiglia, probabilmente e Dio che lo vuole, l'uomo è un essere spirituale oltre che materiale, vogliamo dargli la possibilità di esprimere se stessi sul serio. Il cammino è ancora lungo ma non fermiamo la crescita.
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