(Luis Badilla - Alessandro Notarnicola)
Scriviamo quando mancano ancora dieci ore alla pubblicazione ufficiale del
documento finale del Sinodo, il quale darà avvio a un dibattito annuale che
chiamerà a partecipare tutte le diocesi del mondo, nella prospettiva della XIV
Assemblea sinodale del 2015 dedicata come è ben noto al tema della famiglia in
quanto sfida dell'evangelizzazione.
Da ore si lavora alla stesura definitiva di
questo documento di lavoro molto significativo ed è abbastanza chiaro che
partendo dalla elaborazione della Relazione presentata dal cardinale relatore
Peter Erdo, l'atteso e già commentato documento della Relatio Sinodi ha dovuto
fare i conti con almeno 700 proposte di modifiche, integrazioni, "rinforzi
testuali e contenutistici", chiarimenti, aggiungendo considerazioni
innovative.
Alla base di questi lavori è plausibile
affermare che la Relatio non sarà un documento di parte e, proprio perché sarà
posto come uno strumento di lavoro per tutte le Chiese particolari del mondo,
esso raccoglierà organicamente le impostazioni e le prospettive senza
enfatizzare sentenze dogmatiche.
Il nocciolo del deposito dottrinario
resterà quello di sempre anche in rapporto a questioni più sensibili e
delicate, ma avrà un ampio e lungimirante respiro pastorale viste queste due
ricche settimane di riflessioni e dibattiti sinodali, non sempre sereni e
quiescenti.
Ieri nel corso della conferenza stampa il cardinale Marx ha detto
che "nel linguaggio della chiesa non c'è l'esclusione [...]", e
questo è certamente vero anzitutto all'interno della comunità ecclesiale dove
possono esistere e convivere, nel rispetto fraterno, tutti gli orientamenti
seppure a volte fortemente distanti.
Pietro, papa Francesco, ha esortato - a
rischio di un "incidente", come si è visto in questi giorni - a
discutere con sincerità e libertà compresa la notevole valenza del tema
centrale: la famiglia va rispettata nelle riflessioni, nei dibattiti, essa deve
essere considerata con estrema responsabilità dai membri della Chiesa e dai
laici che collaborano in quest'opera di "rifamiliarizzazione", cioè
riportata alla sua centralità di condivisione.
Tali incidenti li abbiamo visti
in questi giorni e continueranno a seguirsi in questo anno, ma occorre prendere
coscienza e consapevolezza che con papa Francesco è cominciata una nuova
"era" caratterizzata da un modo diverso di essere Chiesa attorno al
Cristo di ieri, di oggi e di sempre.
L'8 maggio scorso nella sua omelia
mattutina il Papa parlando dell'evangelizzazione diceva che un primo momento di
questo impegno è la "docilità" e un secondo momento, aggiungeva, è il
dialogo con il quale l’evangelizzatore «si abbassa, si umilia davanti
all’altro. Non va a imporre idee, dottrine» dicendo «le cose sono così!».
L’autentico evangelizzatore va incontro all’altro «per offrire proprio la
salvezza di Gesù» e lo «fa umilmente con il dialogo». Consapevole che «non si
può evangelizzare senza il dialogo» e che non si può prescindere dal cammino
della persona «che deve essere evangelizzata».
Il papa poi nel corso della
stessa omelia ha proposto una possibile obiezione: «Ma, padre, si perde tanto
tempo perché ognuno ha la sua storia, ha le sue idee...». È vero, ha
riconosciuto, così facendo «uno perde tempo», ma certamente «più tempo ha perso
Dio nella creazione del mondo! E l’ha fatto bene!». Dunque bisogna «perdere
tempo con l’altra persona perché quella persona è quella che Dio vuole che tu
evangelizzi», a cui tu devi dare «la notizia di Gesù». Ed è ancora importante
che il dialogo avvenga con la persona «come è adesso» e «non come deve essere».
La Chiesa deve uscire da se stessa: è
questo il monito, l'invito, l'esortazione bergogliana. Immaginare (o preparare)
una Chiesa che esce e che si rinnova anche davanti alla famiglia; il 18 maggio,
sempre nel corso dell'omelia a Santa Marta, il papa completava il suo
magistero: "non possiamo occuparci solo di noi, chiuderci nella solitudine
e nello scoraggiamento e nel senso di impotenza di fronte ai problemi. La
Chiesa deve uscire da se stessa, verso le periferie esistenziali, uscire. Gesù
ci dice: andate in tutto il mondo, predicate, date testimonianza del Vangelo.
Se uno va fuori di se stesso, certo, può succedere un incidente, come chi va in
strada. Ma io vi dico: preferisco mille volte una Chiesa incidentata che una
Chiesa malata di chiusura". Il messaggio finale che oggi il capo della
Chiesa cattolica è pertanto di sapere affidarsi alla grandezza di Dio che non
ha confini e non discrimina nessuno, aprendosi alle Sue sorprese, senza
chiudersi ai segni del tempo.
Ora la cosa importante, in particolare
per gli operatori dei media è vedere e imparare a "leggere” la Chiesa con
lo sguardo nuovo che il Papa ha desiderato sottolineare nel caso delle grandi e
delicatissime sfide della Chiesa. Ci attendiamo, ed è un auspicio, che il campo
dei media lasci da parte le ottiche e le griglie tradizionali, consumate e
ormai desuete e accetti la sfida di Francesco: rinnovare anche lo sguardo sulla
Chiesa.
In passato spesso, a volte
ragionevolmente, la Chiesa ha dovuto affrontare accuse dirette (e i suoi
Sinodi) di essere monolitica e chiusa, senza concedere spazio al dissenso o
alla controversia, governata dall'alto con piglio autoritario.
In questi giorni
le critiche, almeno alcune, hanno seguito - a quanto pare - il senso
opposto: una Chiesa dispersa, in disaccordo in molte cose importanti, con
troppe voci e opinioni, eccessivamente plurale.
Forse esiste uno sguardo
diverso, più vero e rispondente alla realtà: una Chiesa unita saldamente
attorno a Cristo che desidera il dialogo e il dibattito al suo interno proprio
per dialogare con il mondo che la guarda con interesse e spesso con molta
speranza. Tutto sommato va ricordata una verità non del tutto scontata: i
cristiani, i cattolici, sono parte essenziale del mondo odierno e condividono
le medesime angosce, problemi, sfide, ansie e prospettive e perciò non ha senso
continuare a vedere la Chiesa e il mondo come realtà separate e addirittura
ostili. Essi si completano, sono l'una direttamente rapportabile all'altro.
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