(Guido
Mocellin*)
Mi ci è voluto un po’ di tempo, ma alla fine credo di esserci
riuscito. Mi premeva verificare su qualche elemento concreto la
febbrile
discussione
sul Sinodo e su come i media
vadano raccontandolo ed eventualmente influenzandolo
– e se sì in quale direzione.
E
mi pareva che i giorni che sono appena alle nostre spalle, quelli
cioè trascorsi tra la pubblicazione della Relatio
post disceptationem
e la sua discussione
nei Circuli minores,
fossero particolarmente adatti a misurare questa febbre,
avendo rappresentato quel testo e quella pubblicazione una sorta di
«fase
acuta».
Dunque
ho passato la giornata di ieri a classificare, ancora una volta, i
link che Il
Sismografo
ha ripreso in tema di Sinodo tra il tardo pomeriggio di lunedì 13 e
la fine della serata di mercoledì 15. Mi fido de Il
Sismografo:
il nome del blog dice della linea editoriale, che è quella di
registrare
le scosse,
senza lasciarsi influenzare se avvengono a Nord o a Sud, a Est o a
Ovest della Chiesa e della fede, in zone notoriamente sismiche, dal
punto di vista ecclesiale, o in aree tradizionalmente poco
telluriche.
Dunque,
ecco cosa segna il termometro. Di 133
voci riprese
(64 italiane, 69 straniere), 59
hanno riguardato la discussione
seguita alla Relatio
post,
44
la Relatio
post
in quanto tale (che ne aveva meritate già 21 nella giornata di
lunedì, vedi mio post
precedente)
e 21
uno sguardo più generale
al Sinodo, più o meno condizionato dagli avvenimenti delle ultime
ore. I restanti 9 link avevano altri oggetti, più o meno disparati.
Quanto
all’enfasi,
che ovviamente ho tratto dai titoli e non dai testi, ho contato 62
titoli volti a descrivere e commentare la
dialettica
in corso, 33
fortemente fiancheggiatori
della linea novatrice
espressa dalla Relatio
post,
presentata come maggioritaria, e 29
fortemente schierati
dal lato delle critiche
alla stessa
che andavano emergendo dai Circuli minores, presentate come
maggioritarie.
Certo,
non sono mancate le «forzature
giornalistiche». Ma noi lavoriamo con le parole: se ne indoviniamo
una, facendo per qualche ora la fortuna della nostra testata (un
grande sito di un grande quotidiano o un piccolo blog personale), non
per questo dovremo sentirci in peccato, neppure veniale.
Ad
esempio, la qualifica di «terremoto
pastorale»
spesa da Thavis
per la Relatio
post
è diventata, in un senso o nell’altro, la pietra di paragone per
buona parte dei commentatori statunitensi. Ma ciò segnala molto più
l’autorevolezza e la credibilità dell’ottimo Thavis, che fra
l’altro è, tecnicamente, «in pensione», piuttosto che una
eventuale intenzione manipolatoria.
Stessa
cosa per la definizione di «marcia
indietro»
spesa da chi, come la CNN,
ha colto, nel lavoro dei Circoli minori, ciò che poi è apparso da
buona parte delle loro relazioni, in particolare sul tema della accoglienza/valorizzazione delle persone omosessuali.
Da
metagiornalista religioso, quale provo a essere, credo che ci sia
motivo di essere contenti
di
queste
temperature.
L’equilibrio che emerge dice che, a dispetto delle preoccupazioni
previe avanzate dai settori dell’intransigenza (che in realtà sono
apparsi in prima fila nel tentativo di spostare il Sinodo sui media,
mentre affermavano di voler contrastare tale rischio), il racconto
dell’assemblea è stato prevalentemente aderente
a ciò che c’era da raccontare. Insomma, c’era la febbre
perché c’era un’infiammazione.
Questo
non significa che tale racconto non abbia influenzato
i lavori sinodali. Certo che li ha influenzati. Come ha già detto
molto bene Luigi
Accattoli,
«il confronto con l’opinione
pubblica
non è un gioco». Come non lo è una febbre. E «la dialettica
non è indolore». Ma un po’ di dolore,
che come la febbre è sintomo,
è uno dei prezzi
(e forse neppure il più alto) da pagare all’esigenza, ineludibile,
che la Chiesa ha di misurarsi
con questo tempo.
Forse, finora, abbiamo esagerato
con la tachipirina.
* Caporedattore de Il Regno,
www.ilregno.it
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