(Paolo
Gamberini*) Ho letto con interesse il testo pubblicato dal blog
dell’intervento in Sinodo del card. C. Schönborn. Ne sono venute
alcune considerazioni.
Una
persona omosessuale credente ascolta il proprio vissuto “già”
interpretato da altri: famiglia, società e Chiesa.
La modalità (omo)affettiva con cui vive e sente gli altri, Dio e se
stesso già gli parla con determinate parole e immagini. La persona
omosessuale è già “detta” da altro/i.
Come
Dio è in se stesso relazione immanente (Padre, Figlio e Spirito
Santo), così l’uomo è immagine di Dio in quanto essere
relazionale.
Ciò significa che la finalità e l’ordine, con metafora biblica il
gan
Eden,
dell’uomo è di divenire sempre più imago
Dei.
L’icona trinitaria manifesta la priorità della relazione rispetto
alle modalità secondo le quali si realizza: la differenza tra le
persone divine è effetto (e non causa) della relazione. Si
ha “complementarità” non solo tra uomo e donna, ma anche tra
persone dello stesso sesso.
Come varie e molteplici sono le forme di questa relazionalità, così
varie e molteplici sono le forme della sessualità: è necessario
pertanto recuperare una comprensione “analogica” della
sessualità, che sappia riconoscere cosa ci sia di somigliante e di
differente nell’orientamento omo ed eterosessuale.
Un
primo semplice passo per sdoganarsi dall’alternativa “omosessualità
sì, omosessualità no” sarebbe
quello di applicare alla comprensione dell’amore sessuale quel
modello ecclesiologico utilizzato dal Concilio Vaticano II, per dar
ragione dell’ecclesialità di coloro che erano considerati “fuori”
dalla Chiesa cattolica.
Prima
del Concilio Vaticano II si diceva: o si è dentro la Chiesa
cattolica o si è fuori.
Tertium non datur.
Chi non era cattolico era “eretico” e la sua Chiesa era
considerata una setta. Viveva in un vuoto ecclesiale. La comprensione
conciliare ha avviato, invece, una visione graduale
dell’ecclesialità. C’è un più e un meno.
Il
documento conciliare Unitatis
Redintegratioal
n. 22 afferma che nelle comunità ecclesiali nate dalla Riforma del
XVI secolo è presente un defectus
ordinis.
Secondo la dottrina ufficiale della Chiesa cattolica in queste
comunità ecclesiali non ci sarebbe vero sacerdozio ministeriale, e
dunque non può essere celebrata una “vera” eucaristia. Ma i
teologi ecumenisti si interrogano se casomai si tratti non di
un’assenza (defectus
ut nihil),
ma di una mancanza, ovvero di una non-pienezza dell’ordine sacro
(defectus
ut minus).
Anzi si può dire che queste comunità ecclesiali sono “chiese”
non nel senso in cui quella cattolica vuole esserlo: sono “chiese”
di un altro tipo, alle quali, dal punto di vista cattolico, “mancano”
elementi essenziali per la concezione cattolica della Chiesa. Il
defectus
è
in riferimento alla dimensione “confessionale” e “categoriale”
della Chiesa cattolica; ciò non toglie che dal punto di vista
“ontologico” ed “ecclesiale” queste Comunità ecclesiali
siano propriamente e veramente “Chiese”.
Questo
modello ecclesiologico, che ha fatto scoprire nelle chiese della
Riforma “elementi” dell’Ecclesia
Christi,
potrebbe
aiutarci a far scoprire nell’amore omosessuale “elementi” di
quella relazionalità che sono costitutivi della persona umana creata
ad immagine di Dio.
È
con grande gioia che ho riscontrato questa medesima ermeneutica e
applicazione analogica nell’intervento
del
card.
Christoph Schönborn,
durante il recente sinodo straordinario sulla famiglia. Il
cardinale applica al matrimonio quanto la Lumen
gentium
n. 8 dice a proposito degli “elementa
Ecclesiae”
e si domanda se parecchi elementi di santificazione e di verità
possano trovarsi nelle forme imperfette di matrimonio e di famiglia:
unioni di fatto, convivenza di non sposati e matrimoni senza
certificato di nozze.
Applicando
ulteriormente questa ermeneutica della gradualità non solo al
matrimonio ma più in generale alla sessualità, possiamo dire che
pur riconoscendo all’amore coniugale tra uomo e donna la piena
sussistenza/normatività, non è escluso che l’amore tra due
persone dello stesso sesso possa essere espressione – benché
imperfetta – di amore. Espressione “imperfetta” non significa
che sia di “serie B” o sia inferiore a quella eterosessuale.
Significa semplicemente che non gode di quella pienezza che ha
l’amore coniugale eterosessuale, in quanto è privo del significato
procreativo. Ciò non toglie che, dal punto di vista della relazione
affettivo-sessuale, l’intimità tra due persone dello stesso sesso
sia espressione di amore, ad immagine dell’amore trinitario.
L’amore
eterosessuale non esaurisce la totalità di quella relazionalità che
fa sì che l’uomo sia immagine di Dio! Bisogna quindi comprendere
la sessualità in maniera analogica e non univoca; piuttosto che
concentrarsi sulla genitalità procreativa, si potrebbe tener conto
di quella fecondità non biologica ma spirituale presente nella
generosità di molte relazioni omosessuali. Benché
questa fecondità non sia dello stesso tipo di quelle eterosessuali,
possono
gli atti omosessuali esprimere una vera donazione e amore.
La
bontà morale degli atti omosessuali non va giudicata, quindi, in
maniera astratta, ma nel contesto delle relazioni della persona. È
necessaria una morale del discernimento sulle “relazioni” e
proporre alle persone omosessuali credenti un itinerario spirituale
che aiuti a conformarle all’immagine di Dio. La persona omosessuale
credente sarà tenuta in coscienza a scegliere ciò che l’approssima
sempre più al “meglio” delle relazioni che sta concretamente
vivendo: con il proprio corpo, con gli altri e con Dio.
*Paolo
Gamberini, gesuita,
è Visiting Professor
a Santa Clara University – Jesuit School of Theology (Berkeley,
CA). Si occupa di ecumenismo e dialogo interreligioso. Come Visiting
Professor ha insegnato presso: Boston
College, Holy Cross College e Loyola University di Chicago. È stato
per molti anni docente alla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia
Meridionale; membro del Consiglio direttivo dell’Associazione
teologica italiana, e Presidente della sezione italiana
dell’Associazione europea di teologia cattolica. Tra le principali
opere: Un Dio relazione
(2009), Questo Gesù. Pensare la
singolarità di Gesù Cristo (2005).
Nessun commento:
Posta un commento